La crisi della mezzadria e il conseguente esodo dalle campagne di ampia parte della popolazione agricola avvenuti negli anni '60-'70 del secolo scorso nell'alta valle del Tevere, come in grandissima parte delle zone di collina e montagna della Toscanae di altre Regioni, trasformarono profondamente l'assetto delagricoltura, determinando, in particolare, un rapido abbandono dei terreni seminativi marginali, la scomparsa di molte tradizionali colture legate all'economia di autoconsumo della famiglia contadina e l'introduzione di forme e tecniche agricole diverse da quelle del passato. Tale trasformazione interessò anche il settore zootecnico: il bestiame bovino da lavoro fu rapidamente sostituito con quello da carne, scomparvero i tradizionali sistemi di allevamento poderale delle pecore, dei suini e degli animali da cortile e sparì dalle campagne il somaro che, da tempi antichissimi, aveva servito le popolazioni agricole della collina e della montagna come bestia da soma e da cavalcatura (fig. 1).Cambiò anche il rapporto dell'uomo con il bestiame, soprattutto con quello bovino, sotto l'aspetto non solo puramente tecnico, ma culturale e addirittura sentimentale, scomparendo il tradizionale rapporto affettivo che legava la famiglia contadina al suo "bestiame vaccino" e, in particolare alle vacche, che spesso aveva visto o, addirittura, aveva aiutato a nascere; che, di regola, chiamava con nomi vezzeggiativi, "Rosina", "Bianchina", "Bellacima", "Nella", "Bruna", "Dorina", "Pallina", chiara manifestazione di un rapporto affettuoso; e alle quali, per farle spostare quando puliva la stalla, diceva: "poggia, popa". La stalla, tradizionale metonimia indicante il "bestiame vaccino" del podere, era oggetto di particolare attenzione e motivo d'orgogliodel.
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