L'apparizione dell'edificio del Bauhaus a Dessau progettato da Walter Gropius, almeno a giudicare dalle immagini di Lucia Moholy, doveva essere folgorante come qualcosa di davvero mai visto. Il bagliore del sole specchiato sulla superficie immateriale del curtain wall, le linee bianche taglienti delle solette e le strisce di finestre astratte fanno emergere dal nulla una sorta di nuovo sogno. Oggi riconosciamo in quello stesso edificio elementi architettonici e culturali ormai più che consolidati, dalle cortine specchianti così tipiche della metropoli contemporanea all'idea stessa di scuola e di laboratorio, ma il monumento di Dessau non appare ai nostri occhi meno sorprendente. Incastonato in modo inaspettatamente urbano tra le vie della città, l'edificio è oggi al contempo un centro di servizi per la comunità locale, con tutta l'ordinarietà che questo gli conferisce, e un vero monumento, per Dessau e per il mondo, al quale ci si approccia con la reverenza che si riserva a un mito. Costeggiando la Gropiusallee, un grande viale cittadino alberato, la celebre insegna verticale appare sul fianco, mentre occorre girare intorno alla facciata vetrata per trovare l'ingresso sul lato opposto, appena imboccata la strada che si impone tra i corpi contrapposti dei laboratori e della scuola per infilarsi sotto al braccio sospeso che li connette e proseguire verso i tetti a falde delle case unifamiliari del quartiere. Abbiamo sempre pensato a questa architettura come all'emblema dell'edificio oggetto, eppure il paesaggio ordinario della Germania orientale si appunta sulle linee riflettenti dei prospetti e pervade gli interni, così trasparenti da esserne completamente penetrati. Oggi i vetri - doppi vetri sottilissimi riempiti con un gas isolante - sono ancora più trasparenti di quelli originari in cristallo, e la nitidezza della vista attraverso le facciate, dalla strada verso l'interno, da un corpo all'altro e verso la città, rende il complesso continuamente cangiante e molto più immerso nell'intorno di quanto le famose viste a volo d'uccello che ne hanno fissato l'icona lasciassero immaginare. Il meccanismo architettonico è complesso ma privo di mediazioni: all'ingresso non c'è atrio, ma solo il dispositivo spaziale della scala doppia, identica nel corpo principale dei laboratori e in quello parallelo della scuola. Si tratta di uno spazio fluido, cinetico e monumentale al tempo stesso, che spinge il percorso verso l'alto o verso il basso, fino ad allungarsi negli altri corpi. Il raddoppio della scala offre anche un gioco di specchi: la due facciate contrapposte si restituiscono a vicenda il fotogramma stereometrico dello spazio che dal lato opposto viene percepito con i sensi. E mentre osserviamo questo sdoppiamento possiamo accorgerci di come l'interno sia ritmato dai colori, e grazie ad essi orientarci tra gli ambienti, prendere possesso dello spazio, renderci conto di come il mito astratto con cui il Bauhaus è arrivato a noi possa ancora essere abitato grazie alla sua materia restaurata. Ciò che colpisce oggi dell'ingegnoso incastro di volumi, che Gropius per primo descriveva come un'esperienza spaziale che poteva essere compresa solo muovendosi tutto intorno al complesso, non è tanto la potenza cinetica, ma la sua radicalità urbana, la capacità di innestarsi nel luogo e fare città.
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