La bellezza di questa mostra risiede nel suo integerrimo purismo e nell'algido, preciso e umile gesto di Enzo Mari che ne cura l'allestimento. Nel riordinare e valorizzare un nucleo di reperti appartenuti all'archeologo Jacques Kerchache, l'asciutta scenografia ci immerge in quella relazione privilegiata tra queste difricilissime sculture vudii. Come per colui che li ha sottratti al territorio magico delle loro certezze, Enzo Mari ne reinterpreta la o lefabule in cuifurono concepite e generate, trasformando il mistero in un semplice, ma efficacissimo percorso espositivo. Per partito preso, non ci lascia girovagare; ci suggerisce invece la semplice ieraticita di un villaggio con le sue porte chiuse e le figure di guardiani che proteggono il segreto dei loro interni, preparandoci ad altre yere epifanie. Lavoro difficile per questa scenografia dove la potenza psicologica degli artefatti richiede la sincera capacita di designazione tipica del lavoro di Mari, quel suo sapere
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